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In ogni suo angolo Volterra rivela la sua atavica attitudine alla nobiltà.
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La compatta veste medievale e il fascino arcano dell’eredità etrusca.
Volterra, antica in ogni suo dettaglio e circondata da mura duecentesche, ci appare quasi sospesa tra la Val di Cecina e la Val d’Era, a dominare per largo tratto le Colline Metallifere; è anello di congiunzione tra il territorio pisano e quello senese, ma al tempo stesso arroccata in completa solitudine.
Una collocazione che tanto più sorprende se si pensa ai trascorsi della città, al suo ruolo di protagonista nella civiltà etrusca come in quella medievale. Sulle colline circostanti, fatte in prevalenza di sabbia e argilla, l’erosione ha disegnato calanchi e “biancane”, cupole di candido solfato di sodio che si deposita per affioramento: un paesaggio affascinante ma tormentato, che solo più avanti si stempera in poggi coltivati a grano o lascia il posto a distese boschive.
Già a ridosso delle mura si apre la voragine color ocra delle Balze, che anticamente inghiottì necropoli e suburbi; visto da ovest l’abitato sembra poggiare in miracoloso equilibrio sul colle anziché radicarsi su esso, e in fondo anche questo è mistero, quasi quanto le pagine a noi ignote della stagione etrusca.
 
La gloriosa Velathri, che fu una delle dodici lucumonìe ed estese la sua influenza commerciale su gran parte dell’Alto Tirreno, traspare ancora ovunque nella compatta veste medievale della città: sopravvive nell’acropoli di Piano di Castello così come nei resti delle mura del IV secolo, che in origine si sviluppavano per ben sette chilometri, a racchiudere una vera metropoli; nelle tre teste di pietra che ornano la Porta all’Arco e nel torrione a piramide tronca di Porta Diana.
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E soprattutto nel Museo Etrusco Guarnacci, dove ai reperti di Velathri si affiancano quelli d’età preistorica e romana, in un percorso espositivo di circa quaranta sale. Qui è riunita tra l’altro la più ricca collezione esistente di urne etrusche, con circa seicento esemplari in tufo, terracotta e alabastro (la “pietra di luce” che tuttora è materia prima del più fiorente artigianato locale): nei loro rilievi sfila una parata di volti dal fascino arcano, di divinità ed eroi.
Tra le migliaia di pezzi esposti troviamo capolavori come la Stele di Avile Tite, la Testa Lorenzini, l’Urna degli Sposi o la statuetta votiva in bronzo che D’Annunzio ribattezzò “Ombra della Sera”: una figura di adolescente, quasi un bambino, che si allunga esile, stilizzata con sorprendente modernità.
 
Una scultura che potrebbe appartenere a molte epoche, e che non a caso è tra i simboli più amati di Volterra. Se il Museo Guarnacci è la memoria storica della “città antica”, la vicenda artistica dal Medioevo in poi viene narrata nella Pinacoteca Civica di palazzo Minucci Solaini; tra i dipinti di Ghirlandaio, Daniele da Volterra e Luca Signorelli c’è anche una magnifica Deposizione di Rosso Fiorentino, da poco tornata visibile dopo il restauro.
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Un’altra opera di Rosso (la Pala di Villamagna) è a Palazzo Vescovile, nel Museo Diocesano d’Arte Sacra che alterna a preziosi reliquiari le creazioni di Tino di Camaino, Mino da Fiesole e Giambologna. Come nei musei, anche nelle strade e nelle piazze la città si esprime con immagini indelebili: le mura, scandite da nove porte che sembrano aprirsi sul tempo più che su uno spazio fisico; lo slancio verticale della casa-torre Buonparenti e del portale di San Michele Arcangelo; la sagoma massiccia della Fortezza Medicea; i mirabili affreschi gotici della chiesa di San Francesco o i ruderi del Teatro Romano, adagiato sul pendio di Vallebona. Al vertice di ogni percorso reale o ideale c’è piazza dei Priori, in cui la grigia “pietra panchina” dà forma a uno dei più coerenti scenari creati dalla civiltà comunale in Italia. Oltre naturalmente al superbo Palazzo dei Priori la presenza dominante qui è Palazzo Pretorio con la torre detta “del Porcellino”, per via del piccolo cinghiale in pietra che orna il prospetto. A questi nobili edifici laici fanno contrappunto il Battistero e il Duomo, gioielli del Romanico pisano che si fronteggiano in piazza San Giovanni; varcarne la soglia vuol dire ammirare un fonte battesimale di Andrea Sansovino e una Deposizione lignea che è tra le più belle sculture del Duecento toscano. Le due piazze monumentali sono il baricentro di Volterra, i luoghi che più rivelano la sua attitudine atavica alla nobiltà, ma ovunque la solidità della pietra si sposa a un’allure sottile di mistero, come se il tempo e lo spazio si fossero coalizzati per creare un gioco di scatole cinesi: nei vicoli del centro storico come nelle sale fastose di Palazzo Incontri-Viti, in cui Visconti girò alcune scene del suo film Vaghe stelle dell’Orsa. Un’alchimia esclusiva di questa città e della sua anima antica, che travalica la concretezza così come la luce filtra attraverso l’alabastro. Eleonora Tiliacos,

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